venerdì, gennaio 06, 2006
P.A.C.
Ci sono consigli che arrivano a tarda notte, e che ti costringono a riproggamare una giornata intera.
Ho passato la mattina al Padiglione di Arte Contemporanea, a visitare Artaud, Volti/Labirinti
Il bianconero di Man Ray è uno di quei ritratti che catturano vita, anima, personalità di un uomo. In quegli occhi che frugano dentro l'obiettivo e dentro se stesso, c'è tutto la complessità del regista, del poeta, dell'attore - in una parola dell'artista costruttivamente sovversivo che fu Antonin Artaud.
All'interno dello spazio espositivo - che raccoglie scritti, immagini, e che vede proiettate tutte le pellicole di cui fu protagonista - è stata ricostruita la stanza dell'ospedale psichiatrico in cui Artaud fu ripetutamente sottoposto a sedute di elettroshock.
Anche a distanza di qualche ora, non è una sensazione semplice da descrivere: da un corridoio nero, non troppo lungo ma che appare comunque quasi interminabile, si accede alla ricostruzione. La stimolazione dei sensi, a cui ti sei in qualche modo preparato in corridoio, è istantanea: lo sguardo si fissa sul lettino, sulle cinghie, sull'apparecchio. Nell'aria si avvertono rumori di scarica elettrica.
E l'odore. L'odore. Io non sono in grado di dire se sia suggestione, ma appena entri in quell'ambiente avverti chiaramente odore di ospadale, di medicinali, mista a terrore, a sofferenza, a paura. E non credo sia stata solo un'impressione mia: poco prima di allontanarmi - a larghe falcate - da quella ambientazione, ho fissato lo sguardo sugli altri visitatori e tutti, nessuno escluso, arricciavano il naso.
Si, sono tremate le vene dei polsi.
Ci sono consigli che arrivano a tarda notte, e che ti costringono a riproggamare una giornata intera.
Ho passato la mattina al Padiglione di Arte Contemporanea, a visitare Artaud, Volti/Labirinti
Il bianconero di Man Ray è uno di quei ritratti che catturano vita, anima, personalità di un uomo. In quegli occhi che frugano dentro l'obiettivo e dentro se stesso, c'è tutto la complessità del regista, del poeta, dell'attore - in una parola dell'artista costruttivamente sovversivo che fu Antonin Artaud.
All'interno dello spazio espositivo - che raccoglie scritti, immagini, e che vede proiettate tutte le pellicole di cui fu protagonista - è stata ricostruita la stanza dell'ospedale psichiatrico in cui Artaud fu ripetutamente sottoposto a sedute di elettroshock.
Anche a distanza di qualche ora, non è una sensazione semplice da descrivere: da un corridoio nero, non troppo lungo ma che appare comunque quasi interminabile, si accede alla ricostruzione. La stimolazione dei sensi, a cui ti sei in qualche modo preparato in corridoio, è istantanea: lo sguardo si fissa sul lettino, sulle cinghie, sull'apparecchio. Nell'aria si avvertono rumori di scarica elettrica.
E l'odore. L'odore. Io non sono in grado di dire se sia suggestione, ma appena entri in quell'ambiente avverti chiaramente odore di ospadale, di medicinali, mista a terrore, a sofferenza, a paura. E non credo sia stata solo un'impressione mia: poco prima di allontanarmi - a larghe falcate - da quella ambientazione, ho fissato lo sguardo sugli altri visitatori e tutti, nessuno escluso, arricciavano il naso.
Si, sono tremate le vene dei polsi.