venerdì, agosto 12, 2005

 
Fai che sei di fronte al mare.
Che poi è facile dire "mare": c'è il mare delle cartine geografiche, tutto colorato di azzurro, c'è il mare delle cartoline con spiaggia affollata e scritta "Io sono qui", e c'è il mare tuo, quello di fronte al quale ti sei seduto spesso a chiacchierare. Ti fumavi una sigaretta camminando sul molo e poi ti fermavi lì, appena prima della rosa dei venti. E ti sedevi su quegli ancoraggi scomodi, lo guardavi e ci parlavi un po', con il tuo mare.

Fai che sei seduto lì.
Ti sei portato una bottiglia di vetro azzurro, con il suo bel tappo di sughero. Un foglio e una penna, la tua penna. E con quell'idea un po' romantica che da sempre ti gira e rigira nel cervelletto, ti vien voglia di scrivere, scrivere, scrivere come non hai scritto mai, e di infilare il foglio nella bottiglia, spingere il tappo con il pollice - a fondo - chiudere gli occhi e lanciarla ai flutti, e che ci pensi lui a portarla via, a recapitarla a qualcuno, a farle leggere le tue parole, e che lei ti immagini biondo, abbronzato, e con degli occhi chiari chiari che ci puoi vedere attraverso.

Fai che alzi la penna, pensi.
E sai quello che vorrai scrivere, e che vorrai spiegare di sentimenti e sensazioni, e vorrai raccontare l'allegria, ci vorrai mettere tutte le tue risate, fin da quando eri piccolo, e il mal di pancia dal ridere, e poi più grande, le scale che rimbombano di una risata. O che sei piegato in due con tre amici, davanti a un barista che sforna piattini e tazzine di caffè tutte diverse l'una dall'altra. E ti chiedi se sia mancata la luce all'IKEA, mentre le sceglieva.
E ci vorrai mettere un sacco di altro cose, in quella pagina: ci metterai il suo gridolino quando ha visto un libro nuovo che cercava da un po', racconterai la gioia di condividere una lettura, il regalo di frasi che sentivi tue. O sue. O nostre. Le cazzate al caffè con gli amici, il brivido alla schiena subito dopo aver scattato una foto che senti bella, la canzone che ti piace trasmessa alla radio. Due che canticchiano.

La tosse in gola della prima sigaretta (nascosti dietro a un cespuglio), la prima volta che hai baciato (i tuoi occhi chiusi), la sbronza fenomenale di birra e gin (il mal di testa). Canzoni cantate in macchina, la bora che ti sposta e fai fatica a camminare, il gol di Gubellini col Venezia. Il cuore che ti si apre mentre in una piazza portoghese si intona un fado, e sai che ti aspetta un calice di Porto, e una serenità che non sospettavi.

Fai che stai per iniziare a scrivere.
Scrivere anche di una casa un po' troppo vuota, di passeggiate in riva a un fiume cittadino, di casella vuota, di surgelati che si scongelano ("devo andare"), di cuore che batte all'impazzata e tu non riesci a muoverti. Manca il respiro. La strada che ti si apre sotto i piedi, l'incognita, l'angoscia, la paura. Il sentire, preciso e inderogabile, che non andrà più via.

Fai che ti fermi.
Perchè le parole hanno un peso, lo sai, e le mie frasi superano di gran lunga il consentito. Ed una pagina scritta così, fitta fitta, non si abbandonerebbe come le altre alla forza di una corrente, ma affonderebbe rapida fra queste piccole onde che si infrangono sul molo.

E allora metti via la penna, risistemi la bottiglia nel marsupio, mormori un fanculo rapido e per nulla indolore, e te ne torni a casa, con le tue parole addosso.

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