mercoledì, gennaio 19, 2005

 
Cinema e ristorante

Ci sono esperienze che non si possono mancare. Il cinema da soli, ad esempio.

Tipo, metti che identifichi un film potenzialmente interessante sulle pagine dello spettacolo del Corriere della Sera. Di quelli che non basta una recensione di Porro a farti cambiare idea.

Ti vesti, pettini con cura la barba lunga non rasata (non vinciamo da una vita...)*, prepari ed infili strati di felpe e dolcevita e ti prepari ad affrontare quella cappa di gelo polare che "domina Milàn" più e meglio della Madùnina.

Fai la fila dietro a dodici compagni di scuola, sette coppiette, una nutrita rappresentanza del Circolo del Bridge della Martesana ed una vociante selezione del locale C.A.I. - in piedi, com'è noto, dalle sei. Quando arrivi alla cassa e dichiari "UN biglietto", il cinema si blocca, l'ultimo pettegolezzo sulla Mary che "fa il corso di danza moderna, povera tusa, ma ha 63 anni!" si placa, le coppiette chiudono i mugolii e il gruppo corale interrompe la cantata di grappe e stelle alpine. E tu hai l'impressione che tutti, tutti, tutti si girino verso di te, e che commentino a bassa voce. La macchina del pop-corn si spegne, la maschera strappa un ultimo biglietto l-e-n-t-a-m-e-n-t-e, la cassiera rilascia monete di resto in stato di apnea. La folla davanti a te si schiude in una riuscita rivisitazione del Mosè-di-fronte-all'acqua, e in fondo balugina appena la tua poltrona, verso cui ti indirizzi trafitto dagli sguardi altrui come un San Sebastiano sulle pale di un altare (N.B. ricordati di riportare all'analista questa messe di metafore religiose)




Ti convinci che il peggio sia passato. Ma non hai tanta voglia di cucinare, la pizzeria sotto casa per l'asporto è ancora chiusa per ferie (tutti al safari in Kenia con il viaggio pagato dalle mie quattro stagioni di un anno, immagino) e l'ipotesi di una cena completa - anche se pagata profumatamente - si fa strada con insistenza dentro di te.

Entri al ristorante che hai scelto, ambiente familiare, ed il capo-cameriere che chiede "quanti siete". Mi giro a controllare dietro le spalle: potrei essermi trainato dietro senza essermene accorto il nono battaglione Col Moschin, od in alternativa potrebbe essere spuntato dal nulla Belfagor per una cena a lume di candela. Non c'è nessuno, ed il capo-cameriere mostra di non gradire il mio piccolo show, con un battito di ciglia accelerato che sta probabilmente trasmettendo in Morse la frase "Le è nota l'esistenza di un McDonald proprio qui all'angolo?"

Non cedo, e punto un tavolo al centro della sala. Mi dirottano con cortese fermezza ad un tavolo un po' più periferico, con una colonna di fronte e le spalle da mostrare orgogliosamente a tutti gli altri avventori, tipo bersaglio. Il cameriere che mi serve si produce in una versione accelerata dell'esposizione del menù, e si impegnerà ammirabilmente per i successivi trentadue minuti: i piatti vuoti non sosteranno per più di trentacinque secondi sul tavolo prima di essere carpiti, ed insieme ad una versione miniaturizzata del dolce arrivano caffè, due gocce di digestivo ed il conto. Non me la sento di mettere in piedi un sondaggio volante in sala, ma il significato è inequivocabile: "ti scaveresti amabilmente fuori dal maroni con un badile, e nel più breve tempo possibile?". Mi alzo per dirigermi alla cassa.

Tra il tintinnar dei piatti e delle posate, colgo distintamente frasi appena bisbigliate:

"Uè, ma il corso di danza moderna della Mary?"
"Ma lascia perdere... piuttosto, quello non è il tizio alto e ciula che abbiamo visto al cinema?"






* si, non mi taglierò la barba fino a quando l'Unione non porterà a casa i tre punti. Ragazzi, anche in condizioni normali ho difficoltà a risultare affascinante, e il cane ormai non mi riconosce più. Non fate i mona.

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