domenica, ottobre 17, 2004

 
Giù

Quando ero un po' più giovane e un po' più ottimista, non vedevo l'ora di andare a vivere da solo. L'indipendenza, scegliere i quadri da appendere alle pareti, una casa tutta mia che doveva diventare l'estensione su tutti gli ambienti di quello che per tutti è stata la camaretta adolescenziale.

Persino decidere la stoffa del divano sembrava un miraggio lontano e allettante.

Lo scopro adesso che non è tutto così facile, che non è - come dicono i poeti - tutto rose e fiori.

E' l'insieme di una serie di "quando".

Quando ti proponi la visita settimanale al super, e alla cassa quasi ti vergogni di quel carrello ricolmo di cibo già cotto e surgelati, e lo sguardo duro che rivogi al cassiere è la traduzione con gli occhi di "si, sono azionista di maggioranza della Findus, e allora?"

Quando vai in bagno, e ti accorgi di aver chiuso a chiave la porta con una sorta di automatismo; e quando esci bagnato dalla vasca, e l'asciugamano è troppo lontano, e i boxer rimasti di là sulla sedia, e vorrei gridare e chiedere aiuto.

Quando ti accorgi di portacenere ripieni, con occhi ancora assonnati, quando apri la finestra e alzi le tapparelle.

Quando scopri un groppo straniero alla gola, e il telefono muto, e un crampo allo stomaco che ti dice qualcosa. E guardi il balcone con troppo interesse. E ti osservi allo specchio con occhi appannati, e gonfi i polmoni e provi a dirti che ce la fai. E sospiri forte, e non può sentirti nessuno.

E quando ti rannicchi sotto un monte di coperte, e le alzi fin sopra il viso, le orecchie, e vuoi isolarti da tutto e tutti. E ti alzi all'improvviso, di notte, e seduto sul divano vorresti diventare enorme, gigante, caricare il destro e colpire il mondo con tutta la forza e scagliarlo lontano, lontano, lontano.






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