sabato, luglio 03, 2004

 
A te.

A te, che mi hai chiesto una storia. Siediti con me su questa panchina, accanto a questa sorta di fiume cittadino. Siediti, e chiudi gli occhi. Accenderemo uno scassatissimo CD portatile, ci divideremo gli auricolari, testa contro testa. Ascolteremo le canzoni che ho raccolto per te, in una mia pessima imitazione di un personaggio di Nick Hornby. Di tanto in tanto, abbasserò il volume, e ti racconterò momenti della mia esistenza, attimi, immagini, fotografie. Ci guarderemo respirando piano, con le dita intrecciate.

A te, che oggi piangevi a qualche passo da me. Scusami. Scusami per la domanda idiota, per il mio non poter sopportare che quegli occhi restessero così arrossati. E grazie, grazie per i sorrisi che sono seguiti, per qualche risata, grazie per avermi aperto il tuo cuore, grazie per avermi fatto sentire bello, in una qualche misura. E grazie per avermi fatto notare che non ti avevo chiesto niente, un nome, un indirizzo, un numero di telefono.

A te, che siedi come me davanti a un monitor, e ti agiti sulla sedia come me, accendi una sigaretta, e implori di riuscire a scandire con parole e punteggiatura tutto quello che senti dentro. E non ci riesci quasi mai. Vale la pena svegliarsi ogni mattina, per quel quasi.

A te, a te e a te, che la notte cada serena e leggera. Che non vi siano ricordi ed eorrori commessi a turbare il sogno. Che non vi succeda di svegliarvi con il respiro mozzato, il braccio ad allungarsi su lenzuola nude, un goccia di gelato sudore a correre lungo la schiena.

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