martedì, ottobre 28, 2003

 
Vajont


capita, che sei solo in casa e guardi la TV. Capita che ti fumi una sigaretta dietro l'altra, mentre un attore racconta una tragedia di quaranta anni fa.

Capita che - avvezzo ad ogni disastro, delusione, dolore - davanti a questo fottuto elettrodomestico, in una sera di ottobre ti sorprendi a stringere i pugni, a grattare la gola, e a versare qualche lacrima. La asciughi con il dorso della mano, e tiri su con il naso. Vajont.

A me, alla fine, è tornato in mente di quando ci sono stato. Gita con genitori e amici. ma "gita" è un termine tremendo, e non si era lì per una scampagnata: ero piccolino, forse in quarta o quinta elementare, e il babbo si è preoccupato di raccontarmi cosa stavamo andando a vedere.

Quello che ricordo è una diga altissima, bianca. Io la ricordo di un bianco quasi accecante. E il mio stupore, perchè nella mia fanciullesca ignoranza immaginavo le rovine di una diga, macerie gotiche contro il cielo. E invece era lì, intera, ed è ancora lì, a raccontare di quando vollero sfidare un monte con l'acqua, e l'onda che ne segui scavalcò quel cemento - scavalcò - e sotterrò duemila anime.

Sfuma il mio ricordo, e rimane la rabbia. La rabbia di scosse di avvertimento, di segnali di quello che stava per succedere, di telefonate non fatte, simulazioni nascoste nei cassetti, perizie taciute.

Vajont.

Comments:
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