lunedì, settembre 29, 2003

 
L'Unione in libreria






Ora, uno può anche essere politicamente molto lontano dalla Feltrinelli; questo non toglie che siano fra le migliori librerie in Italia, e fra le tante quella di Piazza Duomo mi regala ad ogni visita (settimanale) una sensazione di familiarità molto tenera. Un po' come entrare nel salotto di un amico e pensare "toh, ha modificato le luci e migliorato la musica di sottofondo".

Poi capita che ti perdi tra gli scaffali di libri di sport. E sei lì a riconoscere libri di storia del calcio che conosci quasi a memoria, che sorridi ad una copia del buon Tim Parks, che ti domandi chi mai potrà acquistare una monografia sugli scarponi da montagna... quando... quando...

Quando, fieramente in piedi fra una biografia di Baggio ed una monumentale storia della Nazionale vedi sorridere, un po' impacciati, due visi in bianco e nero. E riconosci sulle loro maglie il più bello degli scudetti, e hai un sussulto, e ti viene la pelle d'oca, e lanci un mezzo urlo soffocato che spaventa una commessa prima di avventarti su una copertina che ritrae Pasinati e Gino Colaussi.

Giuliano Sadar ha pubblicato per Limina Edizioni "Una lunga giornata di bora - Trieste e la Triestina, storie di calcio attraverso terre di confine". Io l'ho comprato ieri e l'ho finito oggi. E ho perso la fermata giusta per scendere dalla 91 perdendomi nelle cronache antiche della mia squadra.

Ci sono tutti; c'è la prima partita contro il Reparto Fonoelettricisti, il 18 dicembere 1918, con la folla a inneggiare "U-nio-ne" come facciamo oggi a ottantacinque anni di distanza. C'è un Umberto Saba poco entusiasta di recarsi allo stadio, capace di rimanere colpito "dalla umanissima spontaneità popolare , dal filo sottile di consonanza fra giocatori e tifosi, dal senso di fratellanza...". Ci sono Pasinati, "el aveva tanto successo nei sport e co' le mule, c'è il portiere Giacomo Blason che stacca una traversa dai montanti e insegue, brandendola, un avversario che lo aveva insultato. C'è Colaussi, che anziano ricorda i titoli del mondo con la Nazionale e aggiunge: "Mi esaltavo di più quando segnavo con la Triestina".

C'è la Trieste del dopoguerra, con una squadra in serie A e, contemporaneamente, una nella Prima Divisione jugoslava. Rocco che spiega alla squadra, poco spettacolare ma invalicabile in difesa come poche altre al mondo: "I ve disi che xe bruti? Meo, cussì ghe fe paura al aversario...".

Sadar. Sadar che "dopo la partita, aveva il pianto in gola. Una cosa che oggi, purtroppo, fa sorridere. Noi ne siamo emozionati e mettiamo Sadar nell'elenco di grandi alabardati che l'hanno preceduto (...). Non ha la stessa tecnica? Non importa: gli uomini sono uomini, non cavalli." Sadar che gioca con denti rotti, naso fratturato, senza mollare mai. Sadar e Frigeri che una volta, a Monza, avverte un isulto dagli spalti e parte alla carica contro la curva avversaria. Lo fermano in quattro, mentre sta già scavalcando la rete.

E avanti così, fino ai giorni nostri. Fino a De Falco, Ascagni, fino alla sciagurata caviglia di Braghin. E fino alla cavalcata dalla C2 alla serie B, agli eroi di Lucca, ai gol di Gubellini e a quelli di Dino Fava. Fino ad oggi, insomma.

Io mi sono emozionato, cazzarola. Quella stessa, curiosa pelle d'oca che mi prende ogni volta che mi siedo in Grezar, a osservare tesissimo il riscaldamento trotterellante di quelle belle maglie rosse. A osservare la curva che si riempie. Ad ascoltare i primi cori. A veder sventolare la nostra unica, splendida, orgogliosa alabarda.



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