lunedì, agosto 30, 2004

 
Lettera
Beh, lo sapevi che non mi sfugge (quasi) niente, no?
Qualche giorno fa mi hai detto "Quanto tempo che non ricevo una lettera!"; e così, in questa domenica di rientro estivo in città per chi, beati loro, deve ancora riprendere il tran tran (a Milano, tram tram?), sono seduto da solo al tavolino di un bar-aperitivi-con-gli-amici con una sigaretta in bocca, una penna in mano, e la chiara sensazione che tutto questo dovrà essere ribattuto su una tastiera per diventare intellegibile. Alle elementari ci hanno anche provato, ma con gli anni ho imparato a rassegnarmi a questa mia calligrafia interpretabile solo da medici e neurochirurghi.

(Nel frattempo, una pietosa e dolcissima cameriera si è avvicinata per chiedermi cosa volessi. Mi ha chiesto se ero da solo ed ho risposto, con uno sguardo misto diintesa e tenerezza, "no, dovrebbe arrivare qualcuno". Mentivo.)

Lettere, si diceva. La mail è una splendida invenzione, in effetti. Ma, lo ammetto, il "ping" della posta in arrivo (o altri suoni da associare all'arrivo di un messaggio - chi sa sa) può difficilmente competere in romanticismo con una busta affrancata ad attenderti nella casella del condominio.In terza media, per provare a correggere quel tedesco zoppicante che - grazie al cielo - ho poi abbandonato del tutto, ci convinsero a cercare amici di penna in un circuito internazionale. Potevamo scegliere sesso, età, e nazione di provenienza.

Dopo una burrascosa riunione del comitato 14enni di provincia, puntammo deisi sulle coetanee svedesi. Ci ammaliava l'idea di corrispondere con biondissime fanciulle, e quei bastardi non ci avevamo mica buttato fuori dagli Europei pareggiando 2-2. Per cui, unanimità.

(E' tornata la cameriera. Probabile che sia commossa dal mio scrivere e che immagini mi stia crogiolando nell'impazienza. Per accontentarla, a volte lancio finte occhiate ansiose alla porta di ingresso)

E' finita come doveva: a me è arrivata la lettera dell'unica svedese inguardabile sotto i 25 anni del globo terracqueo, e quel finocchio del capoclasse si è trovato a corrispondere con una specie di modella adolescente di Goteborg. Che, comunque, ha smesso di scrivergli dopo meno di un mese. Immagino che ci sia un rapporto di causa-effetto con il furto dell'indirizzo della top girl e del successivo invio di una foto - VERA, questa volta - del suo interlocutore italiano*.

(La cameriera mi ha posato una mano sulla spalla e mi ha mormorato all'orecchio: "Non sa cosa si perde, se non viene". Se era un trucco per scucirmi un altro calice di bianco, ha funzionato.)

Le lettere che ricordo con piacere sono immediatamente precedenti al mio primo trasferimento a Milano, con famiglia. Lasciavo un fracco di amici, un amore (forse) mai corrisposto, e la dolce sicurezza che ti regala il posto in cui sei nato, cresciuto, con i suoi vizi e le sue abitudini. Esperienza formativa.

Tornavo da scuola, e trovavo la casella di posta piena. Un giorno, lo ricorderò per sempre, trovai ad attendermi sette buste. Rispondevo a tutti, annegavo nell'affetto che mi dimostravano, assistevo impotente a distanza al disgregarsi del gruppo. Mi mancavano, tutti, enormemente. Le conservo tutte, tutte, dalla più commuovente a quella scritta con sforzo evidente da chi era poco avvezzo alla scrittura o, forse, all'esternazione dei sentimenti.

Ed eccomi qua, a scriverne ancora una. Per te e, forse, anche per me stesso. Mi rendo conto che il mezzo scelto non è il più tradizionale ma, suvvia, potrai vantarti di aver ricevuto una lettera che tutto il mondo potrebbe leggere. E' un di più, no? ;-)

E adesso chiudo la penna, piego il foglio e vado a casa.

("Mi dispiace, sai?" mi ha detto la cameriera. Come potevo confessarle che non avevo mai aspettato nessuno, e che il mio era uno sporco trucco per evitare il "tavolo con colonna", quel posto spregevole schiacciato contro una parete che ti assegnano istantaneamente quando confessi che sei e che resterai solo? Così ho fatto un sorriso forte, ho mormorato "passerà" e mi sono diretto all'uscito, con i suoi occhi - credo - incollati alla mia schiena.
Se mai dovessi leggere, scusami)

*Si, Svletana o come cacchio ti chiamavi, l'anonimo ero io. E la foto che ti aveva spedito lui era quella di Simone, terza D, concupito da tutte le ragazze della scuola media.)

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